Accade in un supermercato ALDI di Madrid: il prezzo dell’extra vergine è di 4,49 euro/litro, 4,19 euro/litro per il vergine e 4,09 euro/litro per l’olio di oliva.
Cosa comunica questa foto?
Dal punto di vista del consumatore, i tre oli esposti hanno la stessa identica funzione d’uso: condimento e mezzo di cottura.
A fronte di un’identica funzione d’uso, come indicano i dati di mercato iberici, i consumi si polarizzano, verso l’extra vergine quando le condizioni economiche complessive lo permettono o verso l’olio d’oliva in momenti di ristrettezze. È abbastanza ovvio.
Ma allora come valorizzare nel migliore dei modi la catena di qualità degli oli di oliva, essendo la differenza prezzo tra le categorie commerciali quasi impercettibile?
Tra il top di gamma e l’entry level vi è una differenza prezzo del 10%.
Con una politica di prezzo simile, come si possono spiegare al consumatore le differenze qualitative tra questi tre prodotti?
Come si può premiare la qualità, e il lavoro del mondo produttivo, quando il mercato comprime i valori entro un range così risicato?
Difficile rispondere. Si tratta dell’ovvia conseguenza di aver fatto dell’extra vergine una commodity, con annessa rincorsa al prezzo più basso.
Una politica strategica attuata dalla Spagna fin dai primi piani olivicoli e oggi perseguita attraverso il modello del superintensivo.
Il prezzo dell’extra vergine si è abbassato sempre più avvicinandosi a quello dell’olio di oliva che è giunto a livelli incomprimibili.
Se pensiamo che in Italia, e non solo, un olio di oliva può costare di più di un extra vergine in promozione, la cosa sembra quasi folle.
In questo contesto «sballato» a pagarne le conseguenze è la categoria del vergine.
E ciò che è più grave, è che tornare indietro, al momento, è praticamente impossibile.
Una volta distrutta la catena del valore, in maniera scientifica come fatto per molti anni, non si può ricrearla sulle medesime basi.
Sarebbe necessaria una revisione totale delle categorie merceologiche, operazione molto difficile considerando che tutti i paesi olivicoli emergenti hanno interesse a mantenere gli attuali standard, potendo produrre “extra vergine” a costi molto competitivi, attuando la stessa strategia adottata dalla Spagna.