Siamo tutti d’accordo nel riconoscere che la terra è una risorsa, in tutti i sensi. Offre cibo e bellezza ai territori, dà lavoro a molti ed oggi è una nuova speranza per le giovani generazioni.
Il settore primario sta vivendo un trend positivo, che si mostra tale anche per il futuro. Sarebbe utile che la politica cogliesse questa sfida: investire nel settore primario per il rilancio dell’occupazione giovanile e per lo sviluppo di nuovi sistemi agricoli, pensando ad una nuova riforma agraria. Invocare una nuova riforma agricola 3.0 è doveroso per riportare l’agricoltura al centro di una nuova società neo agricolo-industriale.
In tal senso bisognerebbe ascoltare tutti i potenziali portatori di interesse del settore per dar vita ad una nuova agricoltura che diminuisse i costi senza però penalizzare la qualità; che creasse cooperative e distretti agricoli capaci di competere nel mondo globalizzato e che si aprisse al mondo sociale e culturale attraverso partnership con le scuole e la cultura.
In più sarebbe opportuno ricreare un sistema fiscale incentivante che premiasse la produzione delle terre e la maggiore occupazione, e che ammortizzasse i costi delle aperture di nuove aziende.
Non da meno va sottovalutato il discorso agricolo sociale capace di inserire la disabilità nel primario e di rintrodurre nel mondo del lavoro chi ha alle spalle percorsi di droga o detenzione.
Andando a leggere le statistiche del 2017, si nota come l’Italia (in particolare Sud e centro) si ponga come leader europea di aziende agricole giovani con un aumento del 7% di imprese fresche rispetto al 2016. Un dato che va in controtendenza rispetto all’andamento del settore che vede perdere 2.400 aziende nel 2017.
Un’interessante comparazione è quella tra i cervelli italiani in fuga ed i giovani che, invece, investono in attività nel nostro paese: nel 2016, i giovani emigrati, con un’età compresa tra i 18 e i 39 anni, sono 61mila, mentre gli under 35 che aprono nuove attività sono pari a 114mila nello stesso periodo, di cui 9850 in agricoltura, il 9% del totale.
I fondi PSR europei hanno certamente contribuito alla crescita di queste attività: i dati ci dicono che il 61% di tali fondi sono investiti al Sud, benché i costi da affrontare siano molto elevati: infatti l’impegno economico di partenza oscilla tra i 30mila e i 50mila euro.