Un semplice «gioco» di carta, di documenti, per commettere una pessima e pericolosa frode: spacciare olio spagnolo per pugliese.
Come è noto, una delle maniere per stabilire se un prodotto sia o meno italiano consiste nel sottoporlo ad analisi di laboratorio che rivelano la varietà degli ulivi dai quali sono state raccolte le olive.
In Puglia assistiamo ad un poco razionale (visto che la varietà non è indenne alla batteriosi Xylella Fastidiosa) aumento degli ulivi della varietà spagnola Arbequina.
Cosa comporta questo in futuro? Che le analisi parleranno chiaro: «L’olio è ricavato da olive di varietà Arbequina», ma il delitto sarà perfetto poiché si potrà affermare che il prodotto è made in Puglia, essendo presenti nella regione alberi di questa varietà.
La conseguenza immediata la potete immaginare facilmente: olio spagnolo a fiumi in Puglia, per essere spacciato come italiano. Alla faccia della territorialità da tutelare e al patrimonio varietale da promuovere!
«Non si tratta più di posizioni ideologiche che hanno diviso negli anni scorsi i sostenitori dell’intensivo dai simpatizzanti del superintensivo – ha spiegato il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele – A parità di condizioni assistiamo a una brusca virata da varietà della Puglia, capitale europea della produzione di olio, a varietà straniere, con l’ovvia conseguenza che l’olio derivato non sarà distinguibile da quello spagnolo e non potrà fregiarsi dei marchi comunitari Igp Puglia e Dop. Da studi effettuati, le peculiarità degli oli da Arbequina risultano inferiori agli italiani per caratteristiche varietali e natura genetica, l’approvvigionamento delle piante è legato solo ad alcuni vivai e le attrezzature per la raccolta delle olive sono molto onerose».
Bisogna altresì rammentare che l’approvvigionamento dall’estero avviene, in annate – come le ultime due – in cui la Puglia registra il crollo della produzione olearia per le difficili condizioni climatiche.
La campagna olivicola-olearia 2017, pur riguadagnando posizioni rispetto all’anno scorso, attestandosi su quantitativi di olio pari a 225mila tonnellate, segna, nonostante tutto, un calo del 25% rispetto alla media annuale di 300mila tonnellate.
«Ecco spiegato come mai – ha concluso Guido Cusmai, olivicoltore di Vieste – nel corso dell’ultimo decennio le importazioni totali di oli di oliva in Puglia siano cresciute rapidamente, nonostante la regione sia la più olivicola d’Europa. I prodotti stranieri vengono importati soprattutto da Spagna, Grecia e Tunisia, acquistati a prezzi più bassi rispetto agli oli regionali e utilizzati dagli imbottigliatori per realizzare miscele con prodotti regionali».
Una mano è giunta anche dal Psr Puglia 2014-2020: numerose le domande di aiuto per il finanziamento di impianti superintensivi di Arbequina. «Noi paghiamo lo scotto di una sperimentazione sulle varietà autoctone pugliesi che è molto indietro rispetto ad altri Paesi, in testa la Spagna, dove stanno studiando le rese anche di varietà come la Coratina», ha affermato Domenico Perillo, olivicoltore di Palo del Colle, a Sud di Bari. «La sperimentazione sarebbe determinante per aumentare le performance dell’olivicoltura pugliese che è al top in produzione e qualità, ma di sicuro scarseggia in termini di innovazione».
Ricordiamo, infatti, che il patrimonio olivicolo autoctono pugliese è ricchissimo: Coratina, Cellina di Nardò, Ogliarola barese, Bella di Cerignola, Sant’Agostino, Pizzuta, Leccese, Marinese, Nasuta, Cipressino, Coratina, Leccese, Marinese, Massafranese, Monopolese, Peranzana, Pisciottana Sant’Agostino, Cellina barese.
La faccenda resta allarmante; gli oli pugliesi, dunque, perderanno l’italianità e saranno pressoché identici a quelli spagnoli? È probabile. E già l’Italia e la Puglia sono invase da olio spagnolo, basti pensare che nei primi 7 mesi del 2017 l’Italia ha importato dalla Spagna 195 milioni di chili di olio extravergine. Il porto di partenza è Valencia, quelli di arrivo Salerno e Livorno.