Provate a domandare a un contadino o ad un agronomo qual è uno dei peggiori nemici dell’olivicoltura mediterranea.
Non esiterà nel rispondervi: la mosca delle olive!
Tanto temuto e detestato, questo parassita ghiotto dei nostri alberi di olivo, tecnicamente noto come Bactrocera oleae, può provocare elevate perdite qualitative e quantitative del prodotto, nonché un aumento dei costi di gestione dovuti all’adozione di varie strategie di controllo, tra cui spesso l’esecuzione di trattamenti con insetticidi di sintesi, con una ricaduta negativa sull’ambiente in termini di riduzione della biodiversità e inquinamento.
La buona notizia è che si sta affacciando all’orizzonte una nuova strategia di lotta, elaborata dalla ditta britannica Oxitec Ltd – specialista in biotecnologie per il controllo degli insetti, che ha previsto la collaborazione del team e delle strutture del laboratorio di entomologia del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agroalimentari dell’Università di Pisa – che si basa sull’introduzione nell’ambiente di mosche delle olive selezionate che muoiono allo stadio di larva.
La parte italiana del progetto della mosca delle olive a morte programmata è stata seguita direttamente dall’entomologo Augusto Loni.
Come ha spiegato Loni si tratta di «una tecnica che prevede l’allevamento e il rilascio di esemplari maschi di mosca delle olive modificati geneticamente. Le larve che nasceranno dalle uova deposte dalle femmine selvatiche, fecondate da questi esemplari, non completeranno lo sviluppo, morendo allo stadio di larva o di pupa».
Il ceppo di mosche selezionato, chiamato OX3097D-Bol, che muore in assenza di una sostanza che poi nello specifico è un antibiotico, è una sorta di Ogm. «Nel loro Dna sono stati inseriti due geni. Uno che produce una proteina fluorescente. Questo è un ottimo marker in grado di far individuare immediatamente in vivo gli esemplari modificati, in qualsiasi stadio di sviluppo. Il secondo gene inserito è quello che porta a morte gli esemplari femminili, nati da uova deposte dalle femmine fecondate dai maschi modificati geneticamente».
Trattandosi di un Ogm, l’attuale normativa italiana, benché sensibile verso tali argomenti deve fare i conti con la legislazione fortemente restrittiva. La Oxitec ha operato rilasci in via sperimentale in Brasile, Malaysia, Panama e Isole Cayman.
Quindi, per il momento, è ancora prematuro pensare ad una applicazione reale in campo.
I vantaggi previsti da questa tecnica prevedono il non utilizzo di sostanze chimiche, ma direttamente mosche delle olive. «La loro presenza in natura va a competere con quella degli esemplari maschi selvatici per gli accoppiamenti con le femmine. Nel tempo si dovrebbe avere una popolazione di mosca in cui alcune femmine deporranno uova da cui nasceranno esemplari che non completeranno lo sviluppo. Un po’ come diffondere una malattia genetica nella popolazione selvatica.»
Loni ha spiegato anche che «Dal punto di vista dei rischi per l’ambiente, sono nulli in termini di inquinamento, e anche dal punto di vista ecologico non ci sono evidenti controindicazioni, ciò non toglie che un corretto approccio deve sempre tener conto di quella che è la struttura ecologica in cui si opera. Considero una linea guida fondamentale le leggi dell’ecologia di Barry Commoner, ecologo americano degli anni Settanta. La prima dice che ‘in natura è tutto connesso‘, per cui ogni nostro intervento sull’ambiente in qualche misura avrà una ripercussione da qualche parte. Immaginare di eliminare una qualsiasi specie, soprattutto quando si ha a che fare con insetti, è biologicamente assurdo, praticamente impossibile ed ecologicamente sbagliato e non è questo l’obbiettivo di una tecnica come quella descritta. In natura esiste tutta una rete di interazioni fra le popolazioni che mantiene gli equilibri tendendo a ripristinare le condizioni preesistenti alla perturbazione, la cosiddetta ‘resilienza’ dell’ecosistema. Nel nostro caso la popolazione di mosca subirebbe solo un ridimensionamento del livello della popolazione, dovuto alla mortalità indotta in una parte degli esemplari femminili».
Come strategia di lotta pare essere stata pensata per un utilizzo ad ampio livello territoriale, da enti o consorzi, più che dalle singole aziende private.