L’ulivo è fra i pochi alberi ad aver prestato il suo nome agli esseri umani, perché è una versione botanica di noi stessi.
Ci assomiglia, tanto da essere capace di parlarci nei suoi silenzi a volte secolari.
Avvicinarsi a un olivo, raccoglierne i frutti, farne olio e assaporarlo genera un potente flusso di serenità che spiega il costante aumento di partecipazione a pratiche prima riservate ai contadini.
Ormai, sia nelle tenute agricole di resort, sia nei bed&breakfast, sia nelle campagne, si sta diffondendo la raccolta delle olive per non addetti ai lavori, un tour culturale corredato di pranzetto sotto le fronde (un esempio è quello promosso dalla rete di agriturismi fra Erice e Trapani) chiaramente a base di olio, che può essere anche semplice passeggiata tra gli ulivi (la “Camminata tra gli olivi”, organizzata in 120 Comuni dall’Associazione Città dell’Olio).
Ci si può avvicinare ad un ulivo anche in altri modi, adottandolo per esempio. Nel 2005, in Puglia, per frenare le indebite spoliazioni delle campagne locali, Legambiente lanciò l’iniziativa “Adotta un olivo secolare”, che ha salvato molti antichi alberi (alcuni anche millenari) e ha finanziato il progetto del Parco Agrario degli Ulivi Secolari, area inserita di recente nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici.
Da allora progetti analoghi si sono moltiplicati: chi desidera il “suo” albero ma non saprebbe dove collocarlo può sceglierlo persino da un catalogo online (quello dell’azienda agricola D’Alessandro di Pisticci) con tanto di ritratto, oppure può dargli il nome che preferisce (accade a Ostuni, nella Masseria il Frantoio). Si può adottare per minimo un anno, a casa arriveranno la fotografia del proprio albero, notizie periodiche sul suo stato di salute, aggiornamenti dalla potatura e qualche litro di olio.
Certo, avere in casa la foto di un olivo non è come poterlo «vivere».
Avere esperienza di un albero di ulivo significa imparare ad essere insieme saldi e flessibili, allegri e resistenti, fedeli a noi stessi e in perenne rinnovamento. Con radici grandi e fronde leggere, pronti a sfidare le versioni umane di grandine e xylella e donare generosamente il nostro olio.
Quando attaccarono Atene, i Persiani di Serse incendiarono l’olivo sacro, dono della saggia dea Atena, sull’Acropoli. Il giorno dopo, racconta Pausania, gli ateniesi salirono al sacro recinto e videro che su quel tronco flagellato e annerito era già spuntato un nuovo germoglio.