Carmine Dipietrangelo – presidente di Left Brindisi – sul tema «sviluppo», ha sottolineato come nell’agenda brindisina manchi sempre la voce agricoltura. E invita a riflettere: si possono valorizzare e utilizzare a Brindisi le sue tradizionali produzioni, il suo saper fare agricolo, i suoi terreni, la sua pianura, il paesaggio delle campagne, per ripensare così il suo futuro?
Un appello perché l’agricoltura torni ad essere considerata in maniera diversa, componente forte dello sviluppo del territorio.
«La città di Brindisi per superficie agraria, è la città pugliese, dopo Foggia, con l’agro più esteso. Arriva fino ai confini di Mesagne, Sandonaci, San Pancrazio, San Pietro, Cellino, Carovigno, San Vito.
In provincia di Brindisi il peso dell’agricoltura sul valore aggiunto è passato dal 3,9% del 2005 al 6,5% del 2015 mentre l’industria, nello stesso periodo, dal 19% al 17%. Gli addetti nell’industria sono 20.000, in agricoltura sono 13.000 (e a questi andrebbero aggiunti quelli dell’indotto e della trasformazione alimentare, calcolati tra gli addetti nell’industria).
In città, in proporzione, i rapporti sono più o meno gli stessi. Ma il settore agricolo rimane privo di considerazioni e di attenzione.
Lo si vede anche in questi giorni: i sindacati intervengono e omettono sempre di parlare di agricoltura se non per un suo presunto legame con il caporalato, si parla di sviluppo e l’agricoltura non è presa in considerazione. Brindisi non è solo industria, porto, zona industriale. È l’unica città capoluogo che ha, a suo nome, una Doc e che fece del vino una delle sue principali ragioni e condizioni di sviluppo produttivo e urbanistico.
Le fornaci per la costruzione in epoca romana di anfore vinarie, i tantissimi stabilimenti vinicoli, tutti distrutti o dati alla rendita e alla speculazione edilizia, l’utilizzo, in varie epoche, del porto per il trasporto del vino che si produceva nel territorio, sono, forse la testimonianza più significativa della storia vitivinicola della città.
Altre realtà con le vigne hanno fatto le loro fortune, a Brindisi hanno prevalso, invece, prematuramente sfiducia e abbandono. Brindisi attraverso i suoi carciofeti si è fatta apprezzare per il cultivar del carciofo, oggi Igp. Era famosa per la quantità e la qualità della produzione di angurie e meloni gialli. Non si è stati capaci di valorizzare il saper fare dei nostri contadini, la qualità dei nostri terreni, introducendo le innovazioni necessarie.
Anzi molte delle nostre produzioni (le sue abbondanti uve di Negroamaro, di Susumaniello, di Malvasia) sono state valorizzate, trasformate e utilizzate in altri contesti anche vicini, in un rapporto positivo tra produzioni agricole, cibo, territorio, cultura.
L’agricoltura brindisina a partire dalla sua vitivinicoltura può essere modernità e futuro e, con il suo vino Doc, può contribuire a far conoscere e a costruire una Nuova Brindisi Doc (intesa come città e come comunità che si ripensa)!
Il vecchio saper fare, però, non basta più. Gli elementi che non possono mancare sono oggi anche il saper raccontare (comunicazione, marketing, brand), il saper vendere (internazionalizzazione, e-commerce, cercare e creare nuovi mercati), il saper innovare (tecnologie di conduzione e di buona e sana coltivazione dei processi produttivi), il saper ricavare nuovi prodotti dalle vecchie produzioni.
Che sia cultura o storia, biologia o chimica, è il sapere l’elemento di maggiore valore anche per l’agricoltura. E poi tutto è collegato. Una sana agricoltura fondata sui saperi fa bene alla salute. Una buona agricoltura tutela il territorio e il paesaggio. Un paesaggio e un territorio ben tutelato attirano il turismo, soprattutto quello di qualità. Il turismo di qualità va alla ricerca di benessere e di cibo sano, crea nuova occupazione, incentiva l’artigianato di territorio. L’agricoltura è il settore dell’economia il più orizzontale e circolare possibile.
Anche questo è un messaggio utile per il nostro futuro, per i giovani e la loro formazione, per il futuro di questo territorio che può riscoprire tutte le sue potenzialità, ridando alla terra e alla agricoltura il ruolo perso o abbandonato. È giusto pensare da qui in avanti al settore anche attraverso una visione più ampia dove gli aspetti innovativi offrono spunti interessanti di reale cambiamento. Si può dare così una prospettiva alle nuove generazioni interessate e attratte dalla campagna e dalla agricoltura. E si darebbe anche un po’ di fiducia e di considerazione ai nostri agricoltori ancora disperati, per i costi di produzione o per le varie crisi agricole e di mercato che subiscono.
Sarebbe già un ottimo segnale per la città e per l’agricoltura brindisina se l’amministrazione comunale (per anni disinteressata a questa parte importante della sua economia) riuscisse a imporre l’attenzione dovuta, ricostruendo un rapporto di reciproco ascolto con i protagonisti, le associazioni del settore, così come avviene con i bisogni, i protagonisti dell’industria, del commercio, del turismo, del porto.
Sarebbe necessario “un patto verde” per una buona agricoltura e per cibi sani, contro l’abbandono dei terreni, recuperando quelli incolti per far crescere così, attraverso incentivi, associazionismo, formazione, una nuova passione e una imprenditorialità giovanile radicata nel territorio e del territorio.»